martedì 30 dicembre 2008

PER UNA VISIONE COMUNITARIA

Il liberalesimo fonda il suo principio nell’individualismo: l’uomo è visto come un ente concepito in sé e per sè dotato di autosufficienza sociale ed esistenziale.
I rapporti che uniscono gli uomini in una società liberale sono quindi rapporti di interesse e la morale che li circonda è pura convenzione ed esteriore adesione ad uno schema di comportamento del tutto inautentico;
tutti devono essere politicamente corretti e “democratici” conformi a una morale buonista che cura più l’apparire che l’essere.
Ogni etica superiore che nelle società tradizionali regolava il comportamento individuale e comunitario, è stata spazzata via dall’avvento del liberalesimo. La società, non avendo punti di riferimento metafisici che la trascendono, è da allora intesa come un contratto di reciproche convenienze.
Solo da questo substrato culturale avrebbe potuto nascere il capitalismo.
Noi proponiamo una visone comunitaria e organica dell’esistenza.
Comunitaria perché l’uomo è naturalmente legato da vincoli indissolubili con la sua comunità di origine; legami prima di tutto di amore e di solidarietà; legami che nascono dall’appartenere a una stessa stirpe e ad una stessa comunità di destino, dall’amore per la propria Terra.
Comunitaria perché tutti devono concorrere secondo le proprie capacità, al bene comune e alla grandezza della Patria.
Ma una comunità non può che essere organica affinché garantisca l’unità degli intenti nella diversità dei ruoli. In questo modo la comunità diventa qualcosa di superiore che la semplice somma degli individui. Partendo da questi presupposti, il lavoro non viene più inteso solo come mezzo per guadagnarsi il pane quotidiano, ma come sforzo cooperativo teso al soddisfacimento dei bisogni comunitari. Una tale visione del lavoro non può tollerare che esistano guadagni provenienti da speculazioni finanziarie nè che la proprietà dei mezzi di produzione sia svincolata dal lavoro.

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